Nel nostro ordinamento la tutela della salute e sicurezza sul lavoro non è mai stata statica; evolve di pari passo con la scienza e con il diritto europeo. Un balzo in avanti è stato anche il Decreto Legislativo 4 settembre 2024, n. 135, entrato in vigore l’11 ottobre 2024. Il provvedimento recepisce la Direttiva (UE) 2022/431 e va a incidere direttamente sul Testo Unico (D.Lgs. 81/2008), introducendo regole che non riguardano più soltanto agenti cancerogeni e mutageni, ma anche le sostanze tossiche per la riproduzione (reprotossiche). È un passaggio cruciale: la protezione della fertilità e dello sviluppo embrio-fetale diventa infatti un obbligo giuridico di pari dignità rispetto alla prevenzione del cancro professionale.
Per comprendere la portata della novità basta immaginare un’azienda in cui si usano vernici contenenti N-metil-2-pirrolidone (NMP) o cavi elettrici con plastificanti ftalici. Fino a ieri queste sostanze non rientravano nel regime più severo previsto per i cancerogeni; oggi, se classificate H360 (può nuocere alla fertilità o al feto), scattano gli stessi obblighi stringenti previsti per un agente come il benzene.
L’estensione ha una doppia conseguenza pratica:
In sostanza, il legislatore spinge le organizzazioni a interrogarsi non solo sui livelli di esposizione, ma persino sulla necessità stessa di impiegare quella sostanza.
Il DVR non potrà più limitarsi a elencare i codici H-frase. Dovrà spiegare in modo narrativo e quantitativo quali lavoratori, e in quale fase del processo, rischiano di inalare o assorbire il composto reprotossico.
Nel settore del metallo-plastica, molte aziende stanno migrando da plastificanti ftalati a soluzioni bio-based. Non è un processo indolore: cambia la reologia del polimero, bisogna ritestare la resistenza termica e l’aderenza delle vernici. Tuttavia i risultati, anche dal punto di vista del marketing ESG, sono spesso tangibili: maggiori commesse da clienti che pretendono filiere “toxic-free”.
Quando la sostanza è imprescindibile, pensiamo alle leghe di saldatura con piombo ancora indispensabili in alcuni dispositivi medicali, il decreto spinge verso impianti a ciclo chiuso. Ridurre l’apertura della cappa di fusione da 30 cm a 15 cm, per esempio, può dimezzare la concentrazione ambientale di piombo.
La norma non si limita a imporre “ore d’aula”. Pretende competenza situata: il lavoratore deve saper riconoscere in autonomia un flacone etichettato H360, capire quando sostituire un filtro P3 e come gestire un versamento accidentale. La formazione, dunque, diventa un racconto concreto di casi aziendali, incidenti evitati o mancati infortuni, più che un elenco di articoli di legge.
Il Medico Competente assume un ruolo ancora più centrale. L’Allegato XLIII-bis introduce valori limite biologici che non lasciano spazio a interpretazioni: superati quei livelli nel sangue o nelle urine, il giudizio di idoneità va rivisto. Ciò significa che il controllo diventa proattivo: l’obiettivo non è scoprire un danno, ma evitarlo con largo anticipo.
Particolarmente interessante è la differenziazione di genere: per il piombo, ad esempio, il limite per le lavoratrici in età fertile è più severo che per gli uomini, riconoscendo la maggiore vulnerabilità del feto. Questo impone di rivedere anche l’organizzazione dei turni e, laddove necessario, prevedere mansioni temporanee alternative per le dipendenti che intendono programmare una gravidanza.
Il D.Lgs. 135/2024 trasforma la protezione della salute riproduttiva da “buona prassi” a imperativo legale.
Adeguarsi in fretta alla nuova norma significa non solo evitare sanzioni, ma tutelare la forza lavoro più giovane, attrarre commesse di clienti internazionali e rafforzare la reputazione aziendale.
Ma la nuova legge richiede anche competenze multidisciplinari.
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